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Succede: a volte i pazienti interrompono il percorso psicoterapico – a volte in malo modo, a volte in maniera graduale – prima di aver raggiunto gli obiettivi concordati.

Il fenomeno viene chiamato drop out e può accadere dopo tanto alla quinta seduta quanto alla sessantesima. Ci sono diversi tipi di drop out: ci sono pazienti che riferiscono di voler interrompere le sedute, quelli che chiedono una sorta di pausa di riflessione e quelli che semplicemente spariscono (per tornare dopo alcuni mesi, oppure no). È necessario distinguere le cause che portano a questo distacco improvviso, simile a un filo che si spezza: da un lato ci sono cause accidentali, dall’altro cause più profonde e radicate nella personalità del paziente.
Parliamo di cause accidentali quando la terapia viene interrotta a causa di eventi esterni che determinano l’impossibilità di recarsi alle sedute. Può trattarsi di imprevisti di natura economica, di viaggi lunghi che minano la regolarità del processo terapeutico, di trasferimenti in un’altra residenza oppure di malattie debilitanti che rendono impossibile lavorare nel setting dello studio terapeutico.
Ci sono poi altre cause, più profonde, che portano al drop out. Può capitare infatti che il paziente prenda appuntamento per una seduta conoscitiva, ma si fermi a quella telefonata senza mai recarsi presso lo studio del terapeuta. Oppure che la terapia venga interrotta durante la fase di avvio del percorso, durante le prime sedute. Oppure ancora che il paziente decida di non proseguire nella terapia dopo alcuni mesi.
Per comprendere questo comportamento è necessario analizzarlo. Il paziente che decide di intraprendere un percorso di psicoterapia è in preda a due istanze in conflitto: una parte vuole andare verso il cambiamento, mentre l’altra è restia e si difende dal cambiamento stesso. I meccanismi di difesa più comuni sono la rimozione dei ricordi dolorosi, la scissione tra ricordi ed emozioni, la sublimazione, l’identificazione e l’ironia: si tratta delle cosiddette resistenze, che compaiono generalmente nelle prime fasi del percorso terapeutico oppure quando si toccano argomenti e temi sensibili. In queste situazioni sta al terapeuta comprendere la natura delle resistenze e fornire al paziente gli strumenti per superarle in maniera graduale.
I drop out possono essere anche causati dalla scarsa motivazione: un paziente invitato da persone terze potrebbe manifestare una minore propensione al cambiamento. Ci sono poi pazienti che ammettono, più o meno candidamente, che la terapia non piace loro oppure che non si sentono a loro agio e non vedono cambiamenti. Sarà compito del terapeuta esplorare le ragioni del paziente e riportare l’attenzione sul funzionamento: qualora il tentativo non andasse a buon fine, potrà consigliare al paziente un eventuale collega.
Un’altra causa del drop out può essere l’errore terapeutico. Nell’incontro con l’altro possono infatti accadere molte cose, come la mancata sintonizzazione, e il terapeuta non deve mai essere visto (né vedere se stesso) come una macchina infallibile.

I numeri del drop out

Secondo un recente studio condotto da APC, il 59% dei pazienti che aveva interrotto il trattamento aveva presentato una evidente riduzione della sintomatologia, il 23% era riuscito a ottenere una maggiore consapevolezza del proprio problema mentre il 18% non aveva beneficiato della terapia. Se nel 71% dei casi il terapeuta si aspettava il drop out, nel 29% non era stato colto alcun segnale. Tra i terapeuti che avevano previsto il drop out, nel 25% dei casi il paziente aveva l’abitudine di saltare le sedute, nel 25% vi erano segnali di scarsa motivazione, nel 15% vi erano problemi nella relazione terapeutica, nel 10% si segnalavano problemi esterni quali lo scarso sostegno familiare, nel 5% il miglioramento del paziente e nel restante 5% lo scarso insight.

Il drop out ha effetti anche sul terapeuta: nel 50% dei casi i terapeuti affermano di aver provato dispiacere, nel 39% emozioni non negative (sollievo o indifferenza), nel 5,5% emozioni di rabbia e nel 5,5% senso di colpa. La separazione, seppur dolorosa, deve essere accettata e deve diventare, sia per il terapeuta che per il paziente, uno spunto di riflessione e di apertura ve