Seleziona una pagina

Secondo il sociologo Erving Goffman: “La società non è una creatura omogenea, ma un insieme di palcoscenici in cui rappresentiamo noi stessi in modo diverso”. Ciò vuol dire che esiste una rappresentazione di noi stessi che proponiamo agli altri, come una recita teatrale.

Occorre fare un passo indietro e concentrarsi su identità personale e identità sociale: il nostro Sé è una struttura in cui le informazioni concorrono a formare la nostra rappresentazione e la parte più esterna è costituita proprio dalle informazioni di carattere sociale e culturale. Guffman si riferiva perciò alle moltiplicità del Sé come prodotti degli eventi e degli scenari sociali in cui agisce: possiamo parlare quindi di:
– identità personale, che nasce sul piano cognitivo e riguarda l’immagine che viene rimandata dagli altri e viene interpretata, accettata, modificata o rinnegata;
-identità sociale, cioè il grado in cui ci identifichiamo con un determinato gruppo.

Sia online che offline possiamo immaginare un continuum lungo il quale l’individuo sente la propria identità, i cui estremi sono proprio l’i. personale (la propria storia, le proprie speranze) e l’i. sociale (il sentimento di appartenenza a un gruppo). I due concetti lavorano insieme per dare significato al soggetto.
Il web non è più luogo dell’anonimato e della libertà assoluta che consente di nascondere l’identità, ma è il luogo della responsabilizzazione etica del Sé. Con l’avvento dei social media cambia anche l’interazione personale, che avviene a livelli diversi nelle diverse situazioni e che consente di rappresentare le diverse sfaccettature del Sé. Nel concetto di Sé sono oggi comprese anche le immagini ipotetiche di noi stessi, che desideriamo realizzare oppure evitare in base a ciò che intendiamo presentare di noi. Su Facebook e Instagram, per esempio, potremmo voler mostrare il lato più spontaneo, mentre su LinkedIn preferiremmo apparire affidabili e professionali.

Virtuale e reale: virtuale è reale?

L’utilizzo e la diffusione dei social network fanno ormai pensare – a ragione – che questi abbiano una funzione di integrazione (e non di rimpiazzo). Avere un profilo su Facebook, Twitter, Instagram e via dicendo è regolato dalla volontà di mantenere o tessere relazioni di natura personale e/o professionale, ma anche dalla ricerca di consensi poiché consentono di definire noi stessi e modulare la distanza tra il sé percepito e il sé ideale. Livellare e far diminuire questa distanza contribuirà a integrare in maniera positiva la nostra autostima. Sulle varie piattaforme social è possibile incontrare persone che tendono a dare un’immagine idealizzata di sé, quasi come se indossassero una maschera pirandelliana, e utenti che usufruiscono del mezzo schermo per tirare fuori ideali positivi e negativi. Tutto ciò può accadere anche nella vita reale, ma l’interfaccia del monitor o dello smartphone creano una struttura difensiva naturale. La pervasività delle nuove tecnologie ha modificato la realtà in cui viviamo e l’essenza della nostra unicità: la nostra identità. Il Sé viene costruito oggi anche all’interno di cornici meta-comunicative quali i social network che un effetto drammaturgico della rappresentazione teatrale della vita.

Virtuale perciò è reale? La risposta non può che essere affermativa. Le trasposizioni dei Sé che diamo sui social sono autentiche, sebbene talvolta siano estremizzate e conducano a episodi di cyberbullismo e hate speech. Questi fenomeni dilaganti non sono tuttavia causati dai mezzi di comunicazione, bensì sono specchio di una società che cambia e mette in scena anche i suoi lati peggiori. Le azioni da compiere riguardano reale e virtuale in egual modo e passano per la rieducazione del singolo, ma non devono condurre alla demonizzazione delle piattaforme tecnologiche. La gestione dei contenuti dev’essere migliorata, sia da parte del singolo che da parte delle piattaforme in termini di privacy e prevenzione e sanzionamento dei comportamenti scorretti come accade nel reale. Solo così i social network da luoghi di simulazione sganciati dalla realtà quotidiana torneranno a essere mezzi di comunicazione capaci di aiutare l’utente a concentrarsi sulla propria autenticità, accorciare le distanze e creare e mantenere relazioni.