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Ogni anno, 243 milioni di ragazze e donne denunciano abusi da parte del partner.
Ogni tre giorni, in Italia viene uccisa una donna.
Le restrizioni dovute al contenimento dell’emergenza sanitaria hanno peggiorato in maniera esponenziale una situazione spesso taciuta, ignorata o addirittura tollerata dalla società.

Si celebra oggi la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, che quest’anno assume un valore ancora più profondo e che vede l’avvio di una vera e propria staffetta, lanciata da UN Women: si tratta di una campagna di sedici giorni con lo scopo di evidenziare cosa possiamo fare, ogni giorno, per prevenire e combattere ogni forma di sopruso sulle donne. Quando parliamo di violenza, infatti, ci riferiamo alle prevaricazioni di natura fisica, psicologica, economica, culturale. Perché culturale è la matrice di ogni atto, dallo stalking alle molestie sul lavoro, dal revenge porn al femminicidio, dalla retribuzione più bassa al mancato accesso al bilancio familiare. Ma anche matrimoni forzati, mutilazioni genitali femminili, sfruttamento della prostituzione.
Gli effetti di questi traumi durano per tutta la vita e, spesso, causano una spirale di disagio e povertà che può durare intere generazioni.
Il primo passo che tutti noi dobbiamo compiere è schierarci contro ogni forma di violenza: capita spesso che gli atti di violenza appaiono come confusi, quasi legittimati sia dalla vittima che dal carnefice.

La violenza, in qualunque forma essa compaia, è una dinamica relazione di controllo sull’altro, messa in atto attraverso strategie di:

  • aggressione, fisica oppure sotto forma di minaccia;
  • privazione, di libertà, privacy, cure, contatti con l’esterno;
  • controllo o coercizione;
  • punizione;
  • influenza;
  • perversione logica, come ridere del dolore della vittima, oppure alternare gentilezza e violenza;
  • vittimizzazione, con l’intento di mantenere tutta l’attenzione sul persecutore ed espropriare la vittima del sé.

Cosa fare?

Occorre innanzitutto effettuare una valutazione del rischio, per procedere poi alla riduzione dello stesso facendo riferimento, se possibile, alle risorse della persona e all’autoprotezione. La valutazione precoce degli aspetti dissociativi consente di comprendere se siano possibili le azioni autoprotettive oppure se sia necessario l’immediato allontanamento, ad esempio, da casa. Nel caso in cui ciò non sia possibile, si può lavorare con la vittima affinché essa ritagli un piccolo spazio, sia mentale che fisico, per riappropriarsi di sé e distaccarsi dal persecutore. A questo, segue lo “svelamento” del gioco relazionale: la vittima comprende la dinamica relazionale che la domina e, grazie proprio a questa presa di coscienza, apre alla possibilità di fare scelte autonome distanziandosi dal persecutore.
Seguono poi le fasi della ricostruzione della storia personale, dell’elaborazione delle memorie traumatiche, della ricostruzione dei legami affettivi e della riconciliazione con sé stessi.

Tutti insieme abbiamo invece il dovere di fornire spazi di ascolto, supporto e fiducia alle donne che trovano il coraggio di raccontare le violenze, ricordando che le uniche colpe ricadono sempre sull’abusante.