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La discriminazione razziale declina il concetto di altro in modo diverso, poggiando su criteri diversi a seconda del contesto politico, geografico oppure storico. Il comune denominatore è però sempre lo stesso: l’incontro con il diverso diventa occasione di scontro e l’altro è visto come inferiore. Ma come si costruiscono la discriminazione e l’odio per l’altro?
Nessuno è razzista da solo: l’idea stessa di razzismo e odio etnico rimanda sempre a un gruppo di riferimento e all’appartenenza in opposizione a qualcun altro. Il razzismo prende quindi piede nei momenti di conflitto tra gruppo e si radicalizza, alimentando e amplificando questo scontro. Oggi si fonda su una costruzione artificiale della memoria, operata attraverso una selezione di informazioni e ricordi che esaltano alcuni aspetti rispetto ad altri, collegati sino a costruire una storia utile a giustificare l’odio verso l’altro. Ciò avviene, secondo Fabietti e Matera, attraverso procedimenti esterni all’individuo, come l’esasperazione delle differenze tra gruppi e la minimizzazione delle somiglianze, e interni, come la costruzione del senso di appartenenza e il riconoscimento dell’idea di etnia come qualcosa di reale.

Psicologia clinica e razzismo

Ne “Il disagio della civiltà”, Freud parla di narcisismo delle piccole differenze e tenta di spiegare come la coesione intragruppale sia costruita e mantenuta a partire dall’inferiorizzazione di altri gruppi – socialmente o geograficamente vicini – verso cui sono proiettate le istanze aggressive del gruppo stesso. Il gruppo può sentirsi “migliore” e direzionare l’aggressività verso gruppi che presentino “differenze” anche minime, che diventeranno così oggetto di ostilità e disprezzo. Freud sostiene insomma che esista un meccanismo di proiezione delle proprie parti negative verso l’esterno, nello specifico gruppi più prossimi, attraverso cui distinguiamo il nostro gruppo rispetto ad altri e ci sentiamo gratificati nell’appartenervi. Questa teoria spiega l’ostilità di alcune forme di campanilismo tra gruppi concentrati in uno stesso fazzoletto di terra oppure il rancore presente nei convertiti rispetto agli appartenenti al gruppo religioso precedente.

Wilhelm Reich in “Psicologia di massa del fascismo” pone invece l’attenzione sul ruolo sociale svolto dalla sessualità e dalle dinamiche psicologiche che affondano le radici nella parte irrazionale del carattere umano. L’ideologia razziale è qui intesa come “ tipica espressione caratteriale biopatica dell’uomo orgasticamente impotente”. Reich include inoltre il razzismo nelle manifestazioni dell’irrazionalismo sociale, per cui i soggetti incapaci di scaricare la propria eccitazione mentale e fisica canalizzano le istanze aggressive e la perenne frustrazione.

Secondo Gregory Bateson, la conoscenza non può che procedere per distinzioni e conoscere significa “conoscere attraverso le differenze” perché vi è “un numero infinito di differenze […] da questa infinità noi ne scegliamo un numero limitatissimo, che diviene informazione. In effetti, ciò che intendiamo per informazione è una differenza che produce differenza”. Egli ritiene che più due gruppi interagiscono, più hanno bisogno di differenziarsi sottolineando le rispettive idiosincrasie. Nascerebbe così la c.d. schismogenesi, la dinamica psico-sociale che porta due gruppi a discriminarsi l’un l’altro. Le modalità con cui i gruppi interagiscono tra loro possono essere simmetriche (più l’altro si mostra aggressivo, più io mi mostro aggressivo) o complementari (più l’altro si mostra aggressivo, più io mi mostro pacifico). Il conflitto avviene quando nell’interazione tra gruppi compare una sola delle due modalità, poiché si dà avvio ad un’escalation (simmetrica o complementare) insostenibile all’infinito, che culmina con lo scontro. Unica via d’uscita dall’escalation è il ricorso estemporaneo ad un’inversione di ruoli tra i gruppi o il cambio di modalità interattiva, utile a ridurre la quota di contrapposizione (“generalmente rispondo all’aggressività con l’aggressività, ma ora rispondo con la distensione” o “generalmente rispondo con l’accettazione, adesso invece mi oppongo”).
In assenza di momenti di riequilibrio della tensione tra gruppi, lo scontro è inevitabile. Secondo l’ottica batesoniana insomma il razzista è colui che esprime l’escalation conflittuale all’interno di un gruppo, di cui incarna la componente più aggressiva.
La discriminazione e la violenza altro non sono che l’espressione comportamentale di questa tensione, l’agito che incarna la percezione del soggetto.

Il punto comune di questi studiosi è il pensiero che le differenze, cardine della distinzione noi/loro, siano costruire all’interno dell’interazione sociale stessa e che gli elementi su cui si avvia la distinzione diventino sempre più marcatamente distinti. È possibile, ma soprattutto auspicabile, che le categorie su cui oggi si concentrano le tensioni più violente diventino in un futuro prossimo insignificanti e che non vengano sostituite da altre discriminazioni.